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Guida in stato di ebrezza: rifiuto dell’esame del sangue e particolare tenuità del fatto!

Carmine Milo No Comments

La previsione normativa contemplata nell’art. 186 del Codice della Strada mira a prevenire la pericolosità del soggetto che conduce un veicolo dopo aver assunto bevande alcoliche. La sanzionabilità della guida in stato di ebbrezza si determina in base alla quantità di alcool presente nel sangue del guidatore. In alcune ipotesi — quando la soglia di tasso alcolemico non oltrepassa il valore di 0,5 grammi per litro (g/l) — il trasgressore va incontro alla sola sanzione amministrativa. Negli altri casi, il codice della strada prevede una serie di casi ordinati in via gradata, ad ognuno dei quali fa corrispondere una pena sempre più severa, proporzionale al tasso alcolemico riportato dal conducente del veicolo.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 4943 del 1° febbraio 2018, ha riconosciuto all’automobilista la possibilità di opporre un esplicito dissenso all’esame del sangue qualora sia richiesto dalla polizia per l’accertamento del tasso alcolemico, escludendo la medesima possibilità in caso di richiesta di avanzata dal personale  sanitario.

Sul punto, occorre precisare, infatti, che, nel caso in cui il prelievo ematico sia compiuto autonomamente dai sanitari in esecuzione di ordinari protocolli di pronto soccorso — in assenza di indizi di reità a carico di un soggetto coinvolto in un incidente stradale e poi ricoverato — esso non rientra tra gli atti di polizia giudiziaria urgenti ed indifferibili, con conseguente venir meno dell’obbligo di avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.

Viceversa, nel caso in cui l’esecuzione del prelievo da parte del personale medico sia espressamente richiesta dalla polizia — al fine di acquisire la prova del reato nei confronti del soggetto già indiziato — il personale richiesto finisce per agire come una vera e propria longa manus della polizia giudiziaria e, rispetto a tale accertamento, scatteranno le garanzie difensive della facoltà di farsi assistere da un legale.

Con la sentenza n. 24100 del 29 maggio 2018, la Suprema Corte — rinviando, tra l’altro, alla Corte di appello di Salerno — ha, altresì, sancito l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, in relazione al reato di guida sotto l’influenza dell’alcool.

Al riguardo, la Corte ha osservato che la pronuncia emessa dalla Corte di appello, conformandosi ai principi stabiliti dai Giudici di prime cure, si è limitata a descrivere la fattispecie legale astratta, senza offrire alcuna valutazione sulla particolare tenuità del fatto.

Nella ricostruzione motivazionale operata in sentenza, la Cassazione ha sottolineato, infatti, la necessità di un’analisi sulla condotta, sulle conseguenze del reato e sul grado della colpevolezza.

In definitiva, proprio alla luce della riconosciuta graduabilità del reato, in relazione al disvalore d’azione e di evento, nonché all’intensità della colpevolezza, trova, pertanto, giustificazione il recente istituto di cui all’art. 131 bis c.p., in relazione al quale è necessario il compimento di una valutazione relativa al fatto concreto e la verifica sul grado di offensività dell’illecito.

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