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Omessa manutenzione della strada: condannati i dipendenti della Provincia per la caduta di un ciclista

Carmine Milo No Comments

Con la sentenza n. 26085, depositata il 13 giugno 2019, tre dipendenti della Provincia di Messina venivano condannati per lesioni colpose per aver cagionato danni gravissimi ad un ciclista che percorreva, a bordo della sua bicicletta, una strada panoramica e, all’uscita da una curva, si imbatteva in alcune transenne non previamente segnalate che erano allocate sul margine destro della carreggiata.

I tre imputati – l’esecutore stradale, il collaboratore professionale stradale e l’istruttore direttivo tecnico – venivano considerati responsabili sulla base delle dichiarazioni delle persone presenti ai fatti e degli operatori di polizia giudiziaria intervenuti, nonché sulla base della documentazione acquisita e dei risultati della perizia.

Le risultanze probatorie dei primi due gradi di giudizio convincevano il giudicante che l’incidente si fosse verificato proprio in corrispondenza delle transenne, in un tratto di strada caratterizzato da un restringimento della carreggiata.

Anche nella ricostruzione della Suprema Corte, l’incidente occorso al ciclista – che, a causa delle transenne, quindi, cadeva a terra riportando gravi lesioni al viso – era stato causato proprio da una situazione di pericolo dovuta alla mancata apposizione di adeguata segnaletica atta ad evidenziare quel restringimento.

Ai tre dipendenti della Provincia di Messina veniva, pertanto, addebitata la violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale e, in particolare, il non aver evidenziato la specifica situazione di pericolo per la circolazione.

Segnatamente, veniva ritenuta inadeguata e non idonea sia la segnaletica del limite di velocità di 30 km/h – collocata in prossimità delle transenne – che quella del pericolo generico sito a 320 metri o del cartello “lavori” posizionato a circa un chilometro.

Le motivazioni addotte in sentenza sminuivano le argomentazioni della difesa facenti leva sul concetto di insidia.

In definitiva, secondo la Suprema Corte, l’incidente stradale causato da omessa o insufficiente manutenzione della strada determina la responsabilità del soggetto incaricato del relativo servizio, il quale risponde penalmente della morte o delle lesioni conseguite al sinistro secondo gli ordinari criteri di imputazione della colpa, non solo quando il pericolo determinato dal difetto di manutenzione risulti occulto, configurandosi come insidia o trabocchetto.

Madre condannata al risarcimento del figlio per avergli impedito di vedere il padre

Carmine Milo No Comments

Con ordinanza n. 13400, depositata il 17 maggio 2019, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di una mamma che, contrariamente a specifiche pattuizioni, non consentiva all’altro genitore di vedere il figlio.

Nello specifico, il padre, in due anni e otto mesi, incontrava il figlio solo tre volte, nonostante gli accordi intervenuti tra i genitori che prevedevano una più ampia frequentazione.

I comportamenti ostativi contestati alla ricorrente conducevano alla condanna di un risarcimento in favore del figlio con l’intenzione di censurare proprio la mancata frequentazione tra il padre e il figlio e il ruolo svolto dalla madre.

Segnatamente, già la Corte d’Appello, riformando la decisione del Giudice di primo grado, aveva ampliato le modalità di incontro del padre con il minore, condannando la madre a risarcire ben cinquemila euro al figlio per i danni a lui provocati, in forza dell’art. 709-ter, secondo comma, n. 2, c.p.c., per lesione del diritto alla bigenitorialità a causa del clima di conflittualità esistente tra i coniugi a seguito della separazione.

La madre, ritenendo ingiusto il risarcimento, ricorreva in Cassazione adducendo che era volontà del figlio quella di non voler vedere il genitore o di pretendere la presenza della stessa madre ad ogni incontro con il padre.

Nel considerare infondate le doglianze della ricorrente, la Suprema Corte ha ritenuto comprovato l’atteggiamento ostruzionistico della madre e il condizionamento al corretto svolgimento delle modalità di affidamento del minore, nonché il disagio, le sofferenze e i conflitti derivati al minore dall’atteggiamento della madre.

Occorre rimarcare, altresì, che la Corte ha riconosciuto al giudice la facoltà di applicare le misure previste dall’art. 709-ter c.p.c. nei confronti del genitore resosi gravemente inadempiente o responsabile di atti idonei ad arrecare pregiudizio al minore oppure ad ostacolare il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento.

Secondo i giudici di legittimità, la donna, con il proprio comportamento, ha leso il diritto del figlio ad avere rapporti con entrambi i genitori.

In definitiva, secondo la ricostruzione motivazionale addotta dalla Suprema Corte nell’ordinanza, il genitore che, con atteggiamento ostruzionistico, impedisce all’altro di vedere il figlio, nonostante gli accordi intervenuti prevedano una maggiore frequentazione, incorre inevitabilmente nella condanna al risarcimento del figlio proprio per aver leso il suo diritto alla presenza di entrambi i genitori nella sua vita.

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